Lunga vita a Romano Tamani
Lo hanno sequestrato, lo hanno rapinato (una banda di stranieri probabilmente dell’est), e io colgo l’attimo mediatico per fargli un piccolo piedistallo
Lo hanno sequestrato, lo hanno rapinato (una banda di stranieri probabilmente dell’est), e io colgo l’attimo mediatico per fargli un piccolo piedistallo. Romano Tamani dell’Ambasciata di Quistello è il cuoco esemplare. Cuoco panciuto, anzi proprio grasso: i cuochi magri sembrano i primi a non credere in ciò che producono. Cuoco vecchio (75 anni): i cuochi giovani sono spesso ambiziosi, mentre Tamani non ha più niente da dimostrare, è rilassato e rilassa. Cuoco dialettofono: non cuoco anglofono che prende aerei e fa consulenze internazionali impostando menù senza luogo ma uomo radicatissimo nella propria terra, l’Oltrepò mantovano. Cuoco maestro di cerimonie: non chef primadonna, non incombente narciso bensì cuoco che si siede fra i tavoli e magari connette clienti che non si conoscono. Esempio: è stato lui, tanto cattolico da aver invocato i Santi quando i criminali lo prendevano a calci, a presentarmi il vescovo di Carpi. L’Ambasciata, gestito insieme al fratello Carlo, è ristorante massimalista in tempi di minimalismo sconfortante, lussuoso in tempi di pauperismo, edonista in tempi di moralismo: dunque indispensabile. Argenti e tovaglie, tappeti e stoviglie, e le ricette gonzaghesche (il mio amato cosciotto di pavone!), e le leggende erotiche aleggianti, ti trasportano per qualche ora in una favola bella, lontano dall’Italia quotidiana. Romano Tamani è il contrario di un cuoco televisivo, è un cuoco teatrale: all’Ambasciata non si è spettatori passivi ma co-protagonisti, la sala non è una platea ma un palco. Lunga vita a Romano Tamani, e che il suo esempio faccia scuola.