La vera colpa di Achille Lauro sono i suoi tatuaggi in faccia
Chi si colora il corpo da giovane in modo indelebile si inchioda per sempre all’inevitabile ignoranza di quell’età
Ce l’ha stampata in faccia la sua colpa. No, non è la droga a cui dicono alluda la sua “Rolls Royce”. Di canzoni stupefacenti c’è una bella tradizione, perfino sanremese, e penso a “Per Elisa” del magnifico trio Alice-Franco Battiato-Giusto Pio. Soprattutto, molte tossicomanie sono reversibili: drogarsi a diciott’anni e smettere a trenta è una parabola comune. La vera colpa di Achille Lauro sono i tatuaggi sul viso. Perché se ti tatui a diciott’anni resti tatuato anche a trenta, anche a quaranta, anche a ottanta se ci arrivi. So bene che di Dio non gliene frega più niente a nessuno, quindi non userò Levitico 19,28 invano. Userò argomenti più terreni: tatuarsi a diciott’anni significa inchiodarsi per sempre all’inevitabile ignoranza di quell’età. Cambierai mille volte idea ma il tatuaggio non cambierà mai, starà sempre lì a dirti, e a dire, quant’eri scemo. Un tatuaggio è conformismo, zavorra, sclerosi intellettuale. Invitare un tatuato a Sanremo è corruzione giovanile, istigazione a sfregiarsi. Non si regalino fiori se non crisantemi su quel palco: non lo si chiami festival, lo si chiami funerale delle facce pulite.