La fortuna di Pesaro è avere Paolo Teobaldi
La bravura dello scrittore pesarese che scrive ricercato e però con leggerezza, senza mai sembrare un intellettuale o, peggio, un professore
San Terenzio, patrono di Pesaro, lo sanno i pesaresi di essere così fortunati? Non solo per l’aurea medietà del loro capoluogo ovvero dimensioni perfette, né troppo grande né troppo piccolo, collocazione ottimale, né troppo a Nord né troppo a Sud, e tutto ciò sul mare (quando i forestieri elogiano Parma rispondo sempre: ma se a Parma non c’è il mare! Nemmeno un surrogato di mare tipo lago! Nemmeno un surrogato di lago tipo fiume! C’è soltanto un torrente ridicolo). A Pesaro per giunta hanno Paolo Teobaldi, autore di vari romanzi colà ambientati e adesso di “Arenaria” (Edizioni E/O), storie e parole di metà Novecento dalle parti del Monte San Bartolo, a picco sull’Adriatico. Il mio capitolo preferito è “La pesca miracolosa”, ossia la pesca postbellica, stupendamente antisportiva, con la dinamite: “I pesci affioravano a decine, alcuni in bavucca, cioè storditi, altri già morti, con le bavise, cioè con le branchie, sfondate dallo spostamento d’acqua”. Teobaldi è un piccolo maestro a cui invidio la maestria nell’abbinare lingua e leggibilità: scrive ricercato e però con leggerezza, senza mai sembrare un intellettuale o, peggio, un professore. San Terenzio, vorrei che i pesaresi sapessero di essere tanto fortunati.