Un vino che al Vinitaly non c'è
Bottiglia da litro, tappo a vite, vitigni autoctoni ed etichetta semplice
Che la bottiglia sia da litro (ai veri bevitori la 0,75 risulta misura un po’ misera). Che abbia il tappo a vite (il sughero è costoso quando lo paghi, faticoso quando lo estrai, rischioso quando lo annusi). Che contenga un vino affinato in vetroresina (col legno fateci i comodini!). Ricavato da vitigni autoctoni (cabernet e chardonnay non siano sottratti ai palati californiani, cinesi e coreani che tanto li apprezzano). Con suppergiù 11 gradi (cerco l’estasi, non l’ubriachezza). Che in etichetta non compaiano scritte quali DOC e DOCG e nemmeno IGT (ammiro gli uomini liberi, i produttori non irregimentati nei consorzi). Che in controetichetta non compaiano marchietti e bollini verdolini (le certificazioni di qualità trattano i bevitori da minorati o da minori, mentre io sono abbastanza grande per riconoscere la qualità da solo). Che costi non più di 15 euro: ogni centesimo sopra quella cifra serve a pagare cose inutili o nocive tipo sugheri, alcol, barrique, burocrati, certificatori... Che mi dia il gusto perverso di lodare, all’apertura del Vinitaly, un vino che al Vinitaly non c’è.
(Ho appena descritto il Completo, un uvaggio barbera+dolcetto+freisa+grignolino da prendere a modello per rilanciare il consumo e il piacere del vino, prodotto da Carussin, San Marzano Oliveto, Asti).