Si legga “Il canto dell'ippopotamo”
Insegna a giudicare la letteratura e a giudicare Roma
Si legga “Il canto dell’ippopotamo” di Alberto Garlini (Mondadori) perché insegna a giudicare la letteratura e a giudicare Roma. “Pierluigi non leggeva libri tristi o libri che parlavano di miseria o malattia”. Garlini parla di Pierluigi Cappello, co-protagonista del libro, l’amico poeta inchiodato a una carrozzella, il cui rifiuto della letteratura lamentosa dovrebbe valere per tutti: miseria e malattia non le scegliamo noi, le letture invece sì, e la gioia a un certo punto è un dovere. “Si finisce sempre per bere troppo, si parla a vanvera e si diventa tutti grandi amici. Sembra che le occasioni per svoltare con la vita siano a portata di mano, salvo che il giorno dopo nessuno ti risponde e nessuno ti riconosce”. Qui Garlini parla delle cene romane e, da emiliano-friulano, da italiano non romano, ne descrive bene l’amoralità: credo che da quelle parti funzioni così da duemila anni, almeno dalle cene di Petronio, ma a ogni generazione bisogna ripetere la messa in guardia.