La tragica parabola di Sid Vicious
Ricordo nostalgico del bassista dei Sex Pistols, folle prototipo del punk
Leggere “A modo mio. La tragica parabola di Sid Vicious” di Marco Di Eugenio (Arcana) mi ha causato un’insana nostalgia dei Sex Pistols e un più ragionevole rimpianto per Padre Amorth. Sento la mancanza di un gruppo di ragazzi (avevano vent’anni!) capace di rivoluzionare la musica e al contempo fondare un’estetica, così come sento la mancanza di un religioso capace di ravvisare nel rock la musica del diavolo (peccato che il grande esorcista non abbia fatto in tempo a conoscere la trap...).
Questa è la biografia di un posseduto. “C’era una forza oscura che lo manovrava” racconta una batterista dell’epoca. I capitoli sono gironi infernali, poche canzoni e molte risse, bottigliate, svastiche, cadaveri, cessi, celle di prigioni, coltelli, ospedali, siringhe (piantate anche nelle caviglie), fino all’inevitabile overdose a 21 anni. Vade retro Sid Vicious. Tu, prototipo del punk, tu, pazzo, assassino, autolesionista che ancora mi tenti con una interpretazione di “My way” a cui nessun cantante salutista potrebbe nemmeno avvicinarsi. (Scrivo nel giorno della morte di Paolo Giaccio, colui grazie al quale Sid Vicious apparve per la prima volta sugli schermi italiani, su Rai 2, il 4 ottobre 1977 nel programma “Odeon”, e mi ritrovo sentimentale e piango entrambi e prego per entrambi, anche per il povero diavolo punk).