L'Italia ridotta ai gusci di vongole
Una nazione cialtrona e sciatta, pronta a tutto pur di farsi una mangiata
C’era una volta la metafora dell’Italia alle vongole, usata negli anni Cinquanta per dire una nazione cialtrona e sciatta e pronta a tutto pur di farsi una mangiata. Oggi, siccome il peggio non ha limiti, c’è l’Italia ai gusci di vongole. Ovunque vada, anche in ristoranti per nulla economici, mi vengono serviti spaghetti con le vongole nel guscio e questo significa sporcarsi in modo assurdo le mani oltre che, prospettiva angosciante, rischiare di macchiarsi la cravatta.
Non è stato sempre così. Nella “Grande enciclopedia illustrata della gastronomia” (1990) la ricetta dei vermicelli alle vongole prevedeva le vongole sgusciate, nelle “Ricette regionali italiane” (1967) la ricetta degli spaghetti alle vongole prevedeva le vongole sgusciate, nel “Cucchiaio d’argento” (1950) la ricetta dei vermicelli con le vongole prevedeva le vongole sgusciate... Romano Tamani, il cuoco dell’Ambasciata di Quistello, nelle sue memorie ricorda che a Riccione nei primi Sessanta “preparare gli spaghetti alle vongole era una vera impresa. Dietro c’era un lavoro inimmaginabile: per cuocerle dovevi pulirle ad una ad una e, per fare un chilo di vongole, dovevi pulirne almeno cinquanta di chili! Credo di aver sgusciato e lavato quintali di vongole!”. Posso sapere cos’è successo nel frattempo? E’ un problema di costo del lavoro? Oppure è tutta colpa di Rousseau? Propendo per quest’ultima ipotesi: il buon selvaggio mangia seminudo e non si preoccupa di impiastricciarsi, anzi gli piace... Che l’Italia ai gusci di vongole, l’Italia sbragata e sporca, non occupi l’intero spazio della ristorazione, che resistano, o fioriscano, piccole oasi per clienti civilizzati. E magari perfino incravattati.