Si impari lo spagnolo, per rimanere latini
Il linguista Lorenzo Tomasin sostiene che l'italiano, il sardo e il catalano siano le lingue più prossime al latino. Ma appartengono a popoli in via di completa emarginazione
“Le lingue romanze altro non sono che il latino stesso nella sua naturale e ininterrotta sopravvivenza attraverso il tempo e lo spazio”. In un’epoca in cui tutto appare prossimo a mutare drammaticamente e a morire, un cuore conservatore può trovare conforto nel libro di Lorenzo Tomasin, “Il caos e l’ordine. Le lingue romanze nella storia della cultura europea” (Einaudi). Tomasin è un linguista, non un filosofo, eppure nelle sue pagine sento qualcosa di Parmenide e Severino, l’eternità dell’Essere. Dunque il latino non si è mai estinto e non esiste soluzione di continuità fra Orazio e me: un pensiero che mi commuove e mi consola. Tomasin affronta il tema della distanza fra il latino (il latino classico) e le lingue neolatine, non prende una posizione netta ma fa capire che la lingua più vicina è l’italiano (il toscano). Prossimi anche il sardo, il catalano e lo spagnolo. Distantissimo il francese, lingua confusa, piagata da un “del tutto irrazionale scollamento fra suono e scrittura”. Siccome l’italiano, il sardo e il catalano appartengono a popoli esigui e in via, se non di estinzione, di completa emarginazione, si impari lo spagnolo. Per rimanere latini.