Un futuro senza pane
Un giorno ti rilassi, il giorno dopo ti distrai, ed ecco che il ricettario che ti ha nutrito, la civiltà in cui sei cresciuto, diventano archeologia
“Avevo trentanove anni quando il pane è sparito dalla circolazione. Prima erano spariti l'olio di oliva, il caffè, il miele, la carne di maiale e avevo imparato a non sentirne la mancanza. Io e i miei colleghi andavamo avanti a integratori...”. Dei testi dedicati al pane sul numero zero di Pantagruel da oggi in libreria (“una rivista quadrimestrale, forse” scrive l'inarrivabile fondatrice Elisabetta Sgarbi), spero sia interessante il mio testo (pane e parafilia), credo siano interessanti i testi di Andrea Di Consoli e Massimo Zamboni (pane e autarchia), giudico interessantissimo, ovvero agghiacciante, il testo di Claudia Durastanti (pane e distopia). La scrittrice lucano-americana profetizza un molto verosimile futuro senza pane e dunque senza molte altre cose. Mostra benissimo come funziona la deculturazione: “Il pane non sarebbe stato più ufficialmente in commercio. Presto sarebbe stato difficile procurarsi anche il lievito, e coloro che se lo scambiavano in privato al fine di ottenere un pane più autentico e naturale avrebbero perso interesse a tenere viva quella tradizione”. Un giorno ti rilassi, il giorno dopo ti distrai, ed ecco che il ricettario che ti ha nutrito, la civiltà in cui sei cresciuto, diventano archeologia.