Easton Ellis sottovaluta il conformismo dell'anagrafe
"Bianco" è un’importante denuncia dell’autocensura imposta da internet e Hollywood. Ma con troppa facilità chiude le persone dietro sbarre generazionali
“I social media erano diventati una trappola, e quello a cui in realtà miravano era silenziare l’individuo”. Come scrittore Bret Easton Ellis è senz’altro più intelligente di Jonathan Franzen, e come omosessuale è senz’altro più tollerante di Tim Cook. Non che ci voglia molto, è vero, comunque “Bianco” (Einaudi) è un’importante denuncia dell’autocensura imposta da internet e Hollywood, da quei sinistri della sinistra e da quegli illiberali dei liberal. Ma se la correttezza politica è una gabbia, anche la generazione, il ragionare per generazioni, il suddividere uomini e donne per fasce di età, lo è. Oltre a parlare continuamente (e fastidiosamente, per chi come me crede nella differenza sessuale e in Genesi 19,24) di ragazzi, compagni, fidanzati, nelle pagine di “Bianco” lo scrittore di Los Angeles cita molto i “baby boomer”, la “generazione X”, i “millennial” e perfino la “Generazione Inetti” (suo conio). È un po’ lo stesso determinismo che fa dire “Noi giovani” all’ottundente e super-intollerante Greta Thunberg. Chiudere le persone dietro sbarre generazionali è proprio della politica, dell’economia, della sociologia, non può esserlo della letteratura che è arte e come tale deve liberarci, non confinarci. Meritevolmente Ellis si batte contro il conformismo del pensiero: si batta anche contro il conformismo dell’anagrafe.