Mario Perniola e il nulla là fuori
Intelligente com’era, il filosofo sapeva che niente può resistere senza un contesto e dunque sottolineava l’importanza di istituzioni come la famiglia e le università
“La donna e la letteratura, gli unici due miei dèi, le due uniche cose sacre in tutta l’ambiguità di questa parola, sono poi riportabili a un unico principio che è quello del prolungamento della vita oltre la morte”. Spesso le prefazioni le salto ma stavolta per fortuna non l’ho fatto e così non mi sono perso questo illuminante pensiero scritto da Mario Perniola due anni prima di morire, oggi stampato nella riedizione di un suo romanzo del 1968: “Tiresia” (Mimesis). Basta guardare la data e sapere che l’autore è un filosofo per intuire che non si tratta di un romanzo-romanzo, di un romanzo-sceneggiatura come i romanzi che vanno in classifica, bensì di un romanzo di idee, di un romanzo per l’appunto filosofico. Torno alla prefazione: Perniola non accettava che la morte fosse la fine di tutto e per non finire puntava sulle donne, quindi sui figli, e sulla letteratura, quindi sui libri. Intelligente com’era, sapeva che nulla può resistere senza un contesto e dunque sottolineava “l’importanza delle istituzioni – la famiglia e le università – le quali, pur nella loro insopportabile costrizione, garantiscono la sopravvivenza dei figli e delle opere”. Si riconosca in Perniola un pensatore squisitamente conservatore, ossia realista: che palle la famiglia e l’ateneo (e il museo, la biblioteca…), che nulla là fuori.