Che il coronavirus stronchi l'ideologia della condivisione
Il nome del nuovo ristorante Røst di via Melzo anziché al socialismo mi faceva pensare alla Scandinavia… E invece mi sono sentito la cavia di un esperimento neocollettivista
Che la famosa epidemia, oltre a silenziare gli antivaccinisti, oltre a far rileggere “I promessi sposi”, abbia un altro effetto collaterale positivo: stronchi il fenomeno della condivisione a tavola. L’ultima volta che sono stato a Torino l’ho scampata: il ristorante Condividere, fastidiosamente ideato da Ferran Adrià, si annuncia iperconviviale fin dal nome ed è facile evitarlo. L’ultima volta che sono stato a Milano ci sono cascato: il nome del nuovo ristorante Røst di via Melzo anziché al socialismo mi faceva pensare alla Scandinavia… E invece in carta trovi la scritta “Piatti da condividere”: sul tavolo arriva un piatto solo e tocca ai commensali fare le porzioni. Ordinare diventa perfino più complicato del solito: occorre contrattare, rinunciare, accordarsi… Poi è comunque un intreccio di forchette e cucchiai e salamelecchi (bisogna scusarsi di continuo perché non è per nulla facile dividere esattamente a metà una zucca affumicata). Se sei con un amico barbuto è un’intimità non gradita, se sei con una bella ragazza va già meglio ma ti senti comunque la cavia di un esperimento neocollettivista e ti immagini che il titolare abbia letto Zizek, “Il godimento come fattore politico”. “Godimento” perché da Røst ho mangiato benissimo. “Politico” perché dietro l’enfasi sulla condivisione (e sui vini biodinamici, in questo genere di locale ormai inevitabili come la morte) ci sono quintali di ideologia. Che la famosa epidemia riporti ovunque i piatti individuali, perfetti per ipocondriaci, apolitici e misantropi.