Dalla cerimonia del tè a Pascal
Una delle “quindici gioie” che la cerimonia del tè ha donato all’autrice è il “concentrarsi sul momento presente”. Dimenticando se stessi
“Non c’è un perché. Se mi chiedete il perché di ogni singola cosa mi mettete in imbarazzo. Non è necessario capire il significato: si fa così”. Si può leggere “Ogni giorno è un buon giorno” di Morishita Noriko (Einaudi) come un libro sulla cerimonia giapponese del tè. Oppure lo si può leggere come un libro sulla cerimonia in generale, sul valore del rito a prescindere dalla forma particolare. “La felicità è poter ripetere ogni anno le stesse cose. Il tè è fatto, in effetti, di ripetizioni”. L’autrice pratica la cerimonia del tè da decenni. All’inizio, giovane studentessa, “queste pratiche tradizionali giapponesi mi sapevano di vecchio e fuori moda”. Proprio come vecchie e fuori moda appaiono le pratiche tradizionali italiane, ergo cattoliche, ai giovani studenti italiani. Finché qualcuno scopre che le pratiche anziché vecchie sono eterne, anziché fuori moda sono dentro l’istante. E infatti una delle “quindici gioie” che la cerimonia del tè ha donato all’autrice è il “concentrarsi sul momento presente”. Dimenticando se stessi. Si noti come un rito di origine buddista si avvicini al pensiero cristiano di Pascal, grazie al quale sappiamo che “l’io è odioso”.