Dove sono i talebani del bio ai tempi degli assalti ai supermercati?
Si leggano le gesta del "verro ruffiano" di Maurizio Milani per liberarsi dagli ultimi residui di ortoressia, schizzinosità e noiosità alimentare
“L’airone quando mi vede però vola via. Ha capito che vorrei catturarlo per tradurlo in farina”. Leggo “Il verro ruffiano” di Maurizio Milani (Baldini+Castoldi) e mi esalto perché è un’apologia dell’onnivorismo. L’eroe del libro si chiama Vasco ed è un maiale (per giunta maschio) che come tale divora tutto. “Ieri Vasco ha mangiato il canarino Titti”. “Comunque sono convinto che Vasco ti mangia anche un babbuino”. “Tanti pesci siluro vengono catturati e abbandonati sulle sponde. Noi li raccogliamo (anche se non si potrebbe, secondo la legge) e dopo averli macinati facciamo un’ottima farina per suini”. L’allevatore-io narrante somministra ai suoi animali farina di koala (le bestiole che qualche settimana fa bruciacchiavano in Australia), farina di capriolo, farina di impala... “La mia è ancora una porcilaia che si ispira agli anni mitici della suinicoltura dura. Nessuna tracciabilità delle carni, nessuna informazione al consumatore, che è di fretta a fare la spesa e non ha tempo per leggere le balle sull’etichetta”. Sante parole, in questi tempi nuovamente di primum vivere: o forse qualcuno durante gli assalti ai supermercati si è premurato che la scatoletta di tonno fosse bio? Si leggano le gesta del verro ruffiano per liberarsi dagli ultimi residui di ortoressia, schizzinosità, noiosità alimentare.