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(foto Unsplash)
Passerei volentieri la quarantena residua in Calabria
Mi vedo in sogno nella Cosenza di Jole Santelli a fare il giro dei bar, bevendo alla salute del ministro centralista Boccia
Agli intellettuali antifascisti, penso a Cesare Pavese, negli anni Trenta la Calabria veniva imposta come confino. A me, intellettuale antistatalista, oggi viene imposto il confino a Parma, dove i bar e perfino i parchi sono chiusi, e mi viene impedito di andare in Calabria dove invece passerei volentieri la quarantena residua. Mi vedo in sogno nella Cosenza di Jole Santelli a fare il giro dei bar: nel primo ordinerei un caffè, nel secondo zeppole, nel terzo un Cirò Rosa o un Savuto Rosso, alla salute del ministro centralista Boccia. Sarebbero momenti di ritrovata libertà e ritrovata ragione (solo un irrazionale puntiglio giacobino può immaginare una riapertura identica e contemporanea per regioni dal diverso tasso di contagio: come se d’inverno venisse uniformato l’obbligo di catene dalle Dolomiti alla Costiera Amalfitana). Sarebbero momenti di ebrezza e a quel punto di Jole Santelli apprezzerei finanche gli orecchini col marchione. Ammirato e riconoscente le declamerei un brano di don Vincenzo Padula, antico meridionalista: “Una donna di Calabria vale quanto l’uomo d’ogni altro paese: i fianchi vigorosi, gli occhi arditi, i polsi robusti, le gote floride, la ricca capellatura, e l’accento minaccioso...”.