Preferisco essere un 17enne che rifiuta la mascherina che il 71enne che rischio di diventare
Può darsi che rifiutare il dispositivo di sicurezza non sia soltanto anteporre la libertà alla sicurezza, San Francesco a Burioni, ma anche una servitù bellissima a ciò che fui
“Sarebbe un’immane servitù se si fosse sempre obbligati a scrivere come si parla o a fare come si scrive. Bisogna permettere agli uomini d’essere un po’ incongruenti”. Così scrive Vauvenargues, moralista settecentesco ovvero filosofo dei costumi, in “Consigli a un giovane per diventare uomo” (Castelvecchi). Potessi anch’io seguire questo ragionevolissimo consiglio antiperfettista: potrei mettermi la mascherina ed entrare in un supermercato per comprare qualcosa che non riesco a procurarmi altrimenti, senza timore di contraddire ciò che vado scrivendo, dicendo, pensando da troppe settimane. “Si scrive tutto il bene che si pensa e si fa quello che si può” insiste Vauvenargues, rivolgendosi a un amico credo diciassettenne. Forse è questo il punto: i 17 anni. Può darsi che rifiutare la mascherina non sia soltanto, per me, anteporre la libertà alla sicurezza, la filosofia alla paura, San Francesco a Burioni, può darsi che sia davvero, in parte, una servitù. Una servitù bellissima al diciassettenne che fui, un ragazzo in Lambretta che ascoltava “Heroes”. Mi dispiace per Vauvenargues (morto giovane, fra l’altro) ma preferisco quel diciassettenne al settantunenne che, se continuo a sfangarla, rischio di diventare.