Germano Celant era un poliziotto della pittura
Nel giorno del suo trigesimo, prego affinché sia perdonato per le sue malefatte estetiche e finisca in un Paradiso iperfigurativo pieno di angioletti rococò
Quando è morto tutti ne hanno parlato bene, sia perché si usa così sia perché lo ammiravano davvero. Io non ammiro il potere né tantomeno lo strapotere (e figuriamoci gli ammiratori del potere e dello strapotere), ma rispettando le coccodrilliche usanze ho taciuto. Oggi finalmente è il trigesimo e posso dire che Germano Celant fu il capo di una setta gnostica, il puritano iconoclasta, il poliziotto della pittura, il marxista che civettava con la violenza (il manifesto dell’Arte Povera si intitolava “Appunti per una guerriglia”), il guru dell’inespressionismo e dunque del disumanesimo, il sommo sacerdote di una religione sostitutiva, il fondatore di un’avanguardia che diventò prestissimo asfissiante accademia, un “uomo cinico e spietato” (Giancarlo Politi, suo primo editore) che impose un’arte sconfortante, nemica della bellezza, della speranza, del piacere. Prego affinché sia perdonato per le sue malefatte estetiche e finisca in un Paradiso iperfigurativo pieno di angioletti rococò.