Alla ricerca dei "cibi santi" perduti
Ci vorrebbe un Andrea Ghiozzi in ogni diocesi d’Italia: lo si scopra e lo si offra al mondo, o almeno a quella porzione di mondo che al ristorante cerca ristoro, conforto, senso
Tradizionale? Tipico? Territoriale? Sono tutti troppo vecchi, ormai inservibili, gli aggettivi per definire la cucina che mi piace. Ci voleva Vittorio Sgarbi per trovarne uno perfetto: evocando i piatti cucinati da Andrea Ghiozzi nella Trattoria al Duomo di Fidenza (suprema torta fritta, sublimi tortelli di erbette) ha parlato di “cibi santi”. Degustando l’aggettivo ho percepito una buona dose di Quarto Comandamento (onora le ricette delle madri) e un pizzico di Decimo (non desiderare la cucina d’altri). Ho sentito profumo di sacro, ho immaginato commensali che diventano confratelli, ho sognato una tavola che si fa cenacolo. “Cibi santi” ossia che creano legami attraverso un rituale: liturgia e ghiottoneria. Ci voleva Vittorio Sgarbi, ci voleva la torta fritta di Andrea Ghiozzi, ci vorrebbe un Andrea Ghiozzi in ogni diocesi d’Italia (non in ogni provincia: in ogni diocesi) e forse esiste già ma va scoperto e allora lo si scopra, lo si estragga dalla sua umiltà e lo si offra al mondo, o almeno a quella porzione di mondo che al ristorante cerca ristoro, conforto, senso.