Non riesco a essere razzista con l'Aristotele nero che arrostisce il gatto
La risposta dell’uomo ("Tu hai i soldi, io ho fame") alla donna che gli gridava contro meriterebbe un corso di filosofia
Di fronte all’Aristotele Nero di Campiglia Marittima (Livorno) non riesco proprio a essere razzista. I miei amici della Lega Toscana guadagneranno forse qualche voto con l’episodio dell’africano che arrostisce il gatto davanti alla stazione, ma io grazie a Dio non sono un politico bensì un letterato. La risposta dell’uomo nero alla donna bianca che gli gridava contro, sconvolta per lo spettacolo indubbiamente un po’ forte, mi è sembrata ricchissima di risvolti culturali. “Tu hai i soldi, io ho fame”: ecco la frase che mi ha tanto colpito. Ci ho sentito innanzitutto lo Stagirita, non saprei se più il logico o il dialettico. Ci ho sentito Naipaul (in “La maschera dell’Africa” racconta di quanto il gatto sia apprezzato dai buongustai ghanesi). Ci ho sentito Ortega y Gasset e il suo dare importanza alla gerarchia zoologica. Ci ho sentito Feuerbach (“L’uomo è ciò che mangia”, e allora mi piacerebbe sapere cosa mangia la signora schifata, per capire se è davvero senza peccato). Ci ho sentito Lévi-Strauss (secondo il quale l’arrosto rappresenta la morte e il bollito la vita: forse lo scandalo gastronomico è stato accentuato dalla modalità di cottura…). Infine ci ho sentito il mio antico maestro Gianni Brera, che al tempo della libertà di espressione (anni Sessanta) ricordava tranquillamente certi pranzi a base di felini in salmì. Gli amici leghisti hanno usato la parola “civiltà”: la nostra civiltà proibisce simili orrori! Ma l’accezione di “civiltà” è mutevole: Brera scriveva e parlava l’italiano dieci volte meglio del più colto di loro, e inoltre, dettaglio ironico, era leghista e razzista più di tutti i salviniani toscani messi insieme. “Tu hai i soldi, io ho fame”: la si analizzi a lungo questa frase, meriterebbe un corso di filosofia.