Chi dice "wow" è disumano
Forse non è così difficile tornare uomini, si può cominciare dal vocabolario
“Torniamo uomini, non “restiamo umani””. Da giorni mi girava in testa questa frase tratta da “Contro la folla. Il tempo degli uomini sovrani”, eccitato pamphlet di Emanuele Ricucci pubblicato dalla molto piccola e molto jungeriana casa editrice Passaggio al Bosco (talmente imboscata da non dichiarare il proprio indirizzo nel colophon). “Uomini” e “umani” non sono sinonimi e ogni volta che la seconda parola viene usata al posto della prima c’è da qualche parte una coppia che anziché fare un figlio adotta un cane… Avevo in testa la frase di Ricucci quando mi sono seduto al Manifattura alimentare di Ferrara. Intorno al tavolo vicino al mio c’erano tre individui di sesso maschile, tre gourmet di mezz’età (esistono gourmet giovani? Non li conosco) davanti a una bottiglia di prosecco (esistono gourmet bevitori di prosecco? Non li conoscevo, ho scoperto la loro esistenza a Ferrara). Uno di loro raccontava la sua cena (definita stucchevolmente “esperienza”) in un ristorante famoso. Gran delusione: “Undici portate e nessun wow”. A parte che undici portate significano menù degustazione, e un vero uomo non si sottomette al menù degustazione, la parolina finale, esclamazione anglofona che ho sempre associato a giovani donne molto permeabili ai media (in bocca alle quali non mi disturba nemmeno troppo), mi ha riportato alla frase di Ricucci. Forse non è così difficile tornare uomini, si può cominciare dal vocabolario: mai dire “wow”.