L'assolutismo omosessualista spiegato con Giovanni Lindo Ferretti
Ho sognato che Scalfarotto e Zan mi chiudevano la rubrica. Al risveglio ho trovato conforto nel libro dell'artista appenninico
Mi sono svegliato di soprassalto, angosciato e sudato, stavo sognando Zan e Scalfarotto che mi chiudevano la rubrica e siccome non avevo una Bibbia sul comodino ho cercato conforto in “Non invano” di Giovanni Lindo Ferretti (Mondadori). Mi ha consolato l’idem sentire, quasi un mal comune mezzo gaudio: “Ne deriva un senso di impotenza contagioso ma sereno”. Nella palla di vetro dell’Appennino, Ferretti vede un futuro generale: “Tutto chiude: l’ultimo bar, l’ultima bottega, l’ultima azienda agricola, l’ultima porta aperta”. Con una consapevolezza che abbiamo in pochissimi: “Una famiglia, una comunità, una terra, una lingua, una religione. Usanze, costumi, modalità dell’essere e dei comportamenti. E tutto sta finendo. Moribondo, quando non già morto”. Io e l’autore siamo talmente prossimi che nel libro mi sono ritrovato citato a pagina 99 (grazie!). Però c’è un pensiero che non avevo pensato, dove si parla di “un galateo in via di definizione che fa della trasparenza e della tracciabilità il proprio imperativo etico morale. Una messinscena di cui, agli albori della modernità, la corte di Versailles fu il prototipo storico. L’assolutismo”. Dunque la legge Zan-Scalfarotto è l’imposizione della parrucca omosessualista a 60 milioni di cittadini da trasformare in cortigiani riverenti, inebetiti da inchini e minuetti.