Il nostro patrimonio artistico non vale meno di Banksy
Di moltissime chiese si sa pochissimo, a volte perfino nulla. Perché gli studenti di storia dell'arte non cominciano a compilare un Inventario del Bello Ignoto?
“Le chiese erano piene di capolavori di cui nessuno sapeva niente”. Così diceva Giovanni Testori a Luca Doninelli negli anni Novanta, parlando degli anni Cinquanta. Io lo ripeto in questi anni Venti, parlando di questi anni Venti. Di poche chiese (solitamente cattedrali e basiliche) si sa molto. Di moltissime chiese si sa pochissimo, a volte perfino nulla. E’ un continente inesplorato nel cuore delle nostre città. Capisco che non ci si possa credere. Possibile che Wikipedia, le guide del Touring, i siti delle diocesi non abbondino di informazioni? Possibile, e io mi trovo ogni giorno davanti a una cappella alla ricerca di cartellini, a chiedermi invano chi abbia scolpito quel crocifisso, chi abbia dipinto quella pala d'altare, dove caspita si trovi la tomba di quel personaggio illustre. E sto parlando di chiese aperte e officiate, non delle innumerevoli chiese perennemente chiuse, sprofondate nell’oblio. Il patrimonio religioso non interessa più: nemmeno il patrimonio artistico? E’ come avere una cassaforte e non sapere cosa c’è dentro, non mi sembra intelligente. Gli studenti di storia dell’arte studiano solo Banksy e Duchamp? Anche a Lecce e a Macerata? Perché insieme ai loro professori non cominciano a compilare un catalogo nazionale dell’arte extra-museale, un Inventario del Bello Ignoto da mettere su internet?