preghiera
Ercole Pignatelli, Milano e la nostalgia
Nel libro a lui dedicato un turbinio di moto, studi, masserie, amori, figli, avventure, viaggi. Cos’era l’arte, cos’era la città e cos’era l’Italia in quegli anni
Non si legga “Ercole Pignatelli. Metamorphosis” (Editoriale Giorgio Mondadori) se non si vuole venire sopraffatti dalla nostalgia. “Quando sono arrivato a Milano c’era la ricostruzione, nell’aria si respirava solo ottimismo, sapevamo che ce l’avremmo fatta”. Cos’era l’arte, cos’era Milano quel mattino del 20 novembre 1953 quando il pittore leccese arrivò, diciottenne, alla Stazione Centrale. Corse a Palazzo Reale per vedere la mostra di Picasso, nel pomeriggio trovò alloggio in Brera grazie a un annuncio letto sul Corriere, la sera al Giamaica fece amicizia col suo futuro gallerista, il potente Carlo Cardazzo, e col suo futuro critico, l’autorevole Raffaele Carrieri. Ventiquattr’ore dopo, sempre nel mitico locale, conobbe Lucio Fontana, nientemeno, che poteva essergli padre e gli fu amico generoso. Nel giro di pochi mesi Pignatelli cominciò a tenere mostre, a vincere premi, a vendere quadri a collezionisti che si contendevano la pur abbondante produzione: Antonella Piaggio, per dire, glieli pagava molto più del prezzo richiesto. E dunque un turbinio di moto, automobili (è sempre stato un appassionato di motori), case, studi, masserie, amori, figli, avventure, viaggi… Cos’era l’arte, cos’era Milano, cos’era l’Italia in quegli anni.