Preghiera
Il lockdown nel XVI secolo si chiamava sequestro
Sabrina Minuzzi racchiude in un testo prezioso le parole stampate al tempo della pandemia da peste veneziana del 1576. Anche allora il baratto libertà/salute non diede i risultati sperati
Prezioso ma senza prezzo è il piccolo libro intitolato “La peste e la stampa. Venezia nel XVI e XVII secolo” a cura di Sabrina Minuzzi (Marsilio). Senza prezzo perché esiste solo in copie non venali, fuori commercio, riservate a noi del clan dei marsiliesi. Prezioso perché racchiude le parole stampate al tempo di un’altra epidemia, la peste veneziana del 1576. Anche allora il primo rimedio fu la quarantena (inventata proprio in Laguna), tuttavia meno pesante: i canonici 40 giorni vennero riservati ai conviventi dei contagiati, per gli altri fu molto più breve, 8 giorni, e solo nei sestieri più colpiti (dunque la Serenissima inventò pure la divisione del territorio in fasce).
Anche allora lo stato si fece assistenziale, solo che provvidenze e ristori si chiamavano più correttamente “elemosina”, solo che i beneficiari si chiamavano più crudamente “genti innutili, povere e bisognose”, solo che il “lockdown” si chiamava più onestamente, nei documenti ufficiali, “sequestro”. Anche allora il baratto libertà/salute non diede i risultati sperati. Però allora gli amministratori se ne accorsero, lo ammisero, si rassegnarono alla realtà: “Non si vide in questo tempo che i sestieri migliorassero, anzi parve che gl’altri di mortalità caminasser del pari, e trattadosi 2 dì in Senato di prorogar il sequestro, fu risoluto non farne altro, ma s’attendesse ad estinguer la peste con le solite processioni, con pregar il grand’Iddio che vi mettesse la sua mano”. Si preghi il grande Iddio e si rialzino le serrande.