“Il critico d’arte che non vuole essere irrilevante deve essere militante: militare nella creazione, nella lotta”. L’enfasi bellicista di Luca Nannipieri mi affatica ma forse ci vuole enfasi per farsi ascoltare dai distratti e dai disinteressati, milioni di milioni, e comunque contiene tanti altri spunti il suo “A cosa serve la storia dell’arte” (Skira). L’autore pisano insiste molto, con accenti giussaniani, sul concetto di persona: “Se si esclude l’Io, cioè l’esperienza della persona, un bene culturale rimane solo un insieme di sassi”. E sul concetto di comunità. Senza comunità le chiese sono morte, i musei sono morti. Il virus lo ha svelato: quando lo stato ha reso inaccessibili le chiese e sprangato i musei le reazioni sono state flebili, inudibili, perché le chiese non contano più niente, e i musei non hanno mai davvero contato niente, nella vita delle persone. Il famoso popolo sovrano ha ampiamente dimostrato che delle chiese e dei musei può fare benissimo a meno: al famoso popolo sovrano è bastato rimanesse aperto Amazon. Altro che culto e cultura, gli italiani vivono tranquillamente di solo pane, non hanno orizzonte diverso da pane e affini (pizza, pasta, panettone...). E allora ha ragione Nannipieri, ci vuole enfasi, ci vuole lotta: contro gli italiani che non si meritano l’Italia.
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