In "L'ultimo paradiso", l'attore si mostra a favore della cultura contadina. Faccia una cosa buona anche nella sua tenuta di Polignano a Mare, dove si ostina a coltivare Pinot Nero. Spianti questo parassita e metta al suo posto uve indigene
Che Riccardo Scamarcio passi dalle parole ai fatti, ovvero da Netflix alla Puglia. Oggi sulla famosa piattaforma esce “L’ultimo Paradiso”, film di cui l’attore pugliese è protagonista, sceneggiatore, produttore, quasi tutto… E’ un film meridional-terragno di quelli che tempo addietro avrebbe fatto Michele Placido: Scamarcio vi si mostra dalla parte degli ultimi, battendosi contro lo sfruttamento dei lavoratori e a favore della cultura contadina. Tutte cose buone. Faccia una cosa buona anche nella sua tenuta di Polignano a Mare, dove si ostina a coltivare un vitigno elitario e incongruo, il Pinot Nero, che sfrutta il geoclima pugliese per confermare l’immaginario vinicolo francese (perfino l’etichetta si inchina ai rossi della Borgogna!). Spianti questo parassita e metta al suo posto uve indigene di quelle che molti snobbano e nessuno paga abbastanza, tipo Ottavianello o Susumaniello: diventerà un esempio per tutti i produttori della regione e spronerà i consumatori a remunerare il giusto il vero vino pugliese (la Puglia sarebbe davvero un Paradiso, non solo per i turisti, anche per chi ci lavora, se i frutti della sua terra fossero pagati di più).
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