Preghiera
Il nostro culto dei morti svela la nostra arretratezza culturale
La ritualità che non trova più spazio nella nostra epoca è sintomo di una cultura minorata rispetto a quelle che contemplano i lamenti funebri. Un libro
Leggo Morte e pianto rituale di Ernesto De Martino (Einaudi), riedizione di un classico dell’antropologia uscito nel remoto 1958. De Martino, pur col suo linguaggio specialistico, accademico, inerte, vi analizza il lamento funebre dall’antichità a un minuto prima del boom. In ricordo dei miei morti leggo il capitolo “Il lamento funebre lucano” che riporta i lamenti registrati nel periodo 1950-56. Venivano cantati dalle donne davanti alla bara, in casa: poeticissimi. Il più bello è un lamento di Pisticci: “Gioacchine mie, beni di la sora...”. In italiano: “Gioacchino mio, bene della tua donna, che morte improvvisa, bene della tua donna. […] E ora ti debbo dire che cosa ti ho messo nella cassa, bene della tua donna: ti ho messo la pipa, bene della tua donna, ché eri tanto appassionato del fumo”. Io mi sono tanto commosso, e ho pensato che oggi quando uno muore gli dicono ciao. L’odierna società non è capace di molto altro: un ciao e il forno crematorio dove assieme al cadavere finiscono inceneriti memoria e rito. Siccome, parola di Giambattista Vico, le culture si fondano sul culto dei morti, si considerino gli odierni italiani culturalmente minorati rispetto a quelle contadine lucane analfabete. Siamo polvere e in polvere siamo già ritornati.