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Collettivismo a manetta alla Biennale dell'Architettura Comunista
Meglio istituire su due piedi una Biennale dell'Architettura Umanista. E tra i premi, assegnarne uno a María Fernanda Sánchez e Pedro Pablo Godoy per la chiesa di Santa María Reina de la Familia, Città del Guatemala
La Biennale dell’Architettura Comunista di Venezia ha assegnato i suoi premi, molto coerentemente al collettivo tedesco Raumlaborberlin (“per un approccio progettuale collaborativo che chiama alla partecipazione e alla responsabilità collettiva”) e poi al gruppo filippino Framework Collaborative (“per un esemplare progetto comunitario che genera un archivio ricco di pratiche collaborative”). È piaciuta anche l’opera, dal titolo ovviamente anglofono (il comunismo architettonico è nemico di tutte le differenze comprese quelle linguistiche), voluta dal “collettivo di archi-attiviste creative” RebelArchitette. Insomma collettivismo a manetta.
Dunque cosa faccio? Istituisco su due piedi una Biennale dell’Architettura Umanista e assegno due premi per due edifici nuovi di zecca, senza fare riunioni, tutto da solo, perché come diceva Baudelaire “piuttosto il primo venuto che un comitato”. Architettura civile: a Pier Carlo Bontempi per l’isolato di 146 appartamenti a Villiers-sur-Marne, Francia. Architettura sacra: a María Fernanda Sánchez e Pedro Pablo Godoy per la chiesa di Santa María Reina de la Familia, Città del Guatemala, Guatemala. Auguri (cento di questi cantieri!) e applausi.