Ferenc Ujhazy, natura morta con prosciutto, 1870 (Wikimedia Commons)

preghiera

Il prosciutto tagliato sottile risale al rifiuto buddistico della carne. Vade retro!

Camillo Langone

Fette quasi trasparenti, talmente sottili che a momenti non c’è bisogno di masticarle, talmente inconsistenti che nemmeno si percepisce il sapore. Una tendenza chiara: la smaterializzazione del cibo, l’estinzione moralistica della soddisfazione, la proibizione dell’onnivorismo

Non è una moda: in campo alimentare le mode sono sempre molto più di una moda (mi inferocisco sempre quando si definisce moda il veganesimo, costume di una nuova religione, altro che moda). È una tendenza: il prosciutto tagliato sottile. Sottilissimo, evanescente. Ero nella nuova prosciutteria di uno dei migliori prosciuttai di Parma, com’è ovvio ho chiesto del prosciutto e mi sono ritrovato nel piatto fette quasi trasparenti, talmente sottili che a momenti non c’era bisogno di masticarlo, talmente inconsistenti che nemmeno si percepiva il sapore (lo dice pure la neuroscienza che il tatto influisce sul gusto). Non era un errore bensì una scelta. Siccome (ho fatto una piccola inchiesta) cresce la richiesta di prosciutto impercettibile: “Mi raccomando, me lo tagli sottile!”. E questo vale un po’ per tutti i salumi: la mortadella, il salame, la bresaola, la culaccia, la spalla cotta... È una tendenza la cui direzione (mi) è chiara: la smaterializzazione del cibo, l’estinzione moralistica della soddisfazione, la proibizione dell’onnivorismo. A spingerla (essendo tutto sempre religione) è il rifiuto gnostico, buddistico, spiritualistico della carne. Prossimo obiettivo: stilare una lista di locali dove il prosciutto viene tagliato a mano, bello spesso.

  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).