preghiera
Ci vuole più Epicuro
Il filosofo greco sconsigliava la politica (teorizzava il “vivere in disparte”), si asteneva dalla competizione, elogiava l’autarchia. Sicuramente avrebbe lodato l’autosufficienza energetica: per il moderno epicureo il nucleare è semplicemente assenza di freddo
In quest’epoca di dipendenza psicologica dall’emergenza, di emozioni, ossessioni e compulsioni, trovo di grande utilità il pensiero al centro del libro di John Sellars, “Sette brevi lezioni sull’epicureismo. Epicuro e l’arte della felicità” (Einaudi). Per il filosofo greco la vera felicità non consiste nel piacere ma nell’assenza di dolore. Dunque bisogna raggiungere l’atarassia che spesso viene tradotta come “assenza di turbamento” o “tranquillità” ma che io preferisco definire “imperturbabilità” o, sempre meglio, “insensibilità”.
Più leggo Sellars più mi avvicino a Epicuro che come me apprezzava il formaggio, sconsigliava la politica (teorizzava il “vivere in disparte”), si asteneva dalla competizione (“Chi conosce i limiti della vita non ha bisogno di tendere a cose che comportino lotta”), elogiava l’autarchia. Sono sicuro che avrebbe lodato l’autosufficienza energetica e dunque la riapertura della centrale di Trino Vercellese (per il moderno epicureo l’energia nucleare non rappresenta il piacere di fare un dispetto agli ambientalisti o ad Alessandro Gassmann, che pure lo meriterebbero, ma semplicemente l’assenza di freddo). Più Epicuro per tutti.