Preghiera
I morti e la loro sensibilità per la pittura del '900
Scrutare il presente dell'arte significa rinunciare a fermarsi a due secoli fa e riconoscere i pittori emergenti, che ci sono. Altrimenti si taccia
Io non ce la posso fare a vivere in un paese di morti. Io ci sto male quando un giornalista, uno che fra l’altro, per mestiere, dovrebbe scrutare il presente, mi si dichiara artisticamente fermo a Klimt. Com’è possibile che un italiano vivo nel 2022 sia inchiodato a un austriaco morto nel 1918? Un secolo abbondante di magnifici pittori dal De Chirico delle “Muse inquietanti” (1919) al De Grandi della “Salomè” (2021) incenerito dall’indifferenza, per non dire dall’ignoranza. Mi devo trattenere anche col tizio che mi si dichiara contrario alla pittura vivente siccome detesta i Tagli di Fontana. Mi devo trattenere e provare a spiegargli che Fontana non era un pittore e non è vivente, che è morto nel 1968 mentre i Tagli sono del ’58, anno in cui la maggior parte degli artisti in attività non era nemmeno nata, e trovo orrendo che eccellenti pittori nati nel 1999 come Mattia Barbalaco, o nel 1998 come Miriana Lallo, debbano pagare le presunte colpe di un trisnonno... Orrendo e ovvio: Fontana è un alibi, la giustificazione della propria estinzione intellettuale. Ma perché vantarsi, anziché vergognarsene, di avere per l’arte nascente la sensibilità di un cadavere? Io non ce la posso fare a vivere in un paese di morti che parlano: i morti tacciano, almeno.