Preghiera
Smettiamola di chiamare osteria ciò che non è un'osteria
L'Italia è piena di locali che si presentano rustici e popolari e che invece ostentano ricercatezza e piatti pregiati, enoteche che non espongono bottiglie e locande che non possono avere clienti per la notte.
Sono un uomo d’ordine, voglio che ai nomi corrispondano le cose. I nomi sbagliati “contribuiscono all’infelicità del mondo” (Camus) e fanno confusione. Così mi sono commosso (si può essere al contempo uomini d’ordine e persone sensibili) quando al Macafame, a Zanè sotto l’altopiano di Asiago, in carta ho trovato appunto il macafame e l’ho subito ordinato ed era buonissimo, il dolce povero della tradizione vicentina. Stessa gioia da Tiella, a Bari, dove in carta ho trovato appunto la tiella e l’ho subito ordinata ed era buonissima, la specialità pugliese a base di riso, patate e cozze. Che differenza con gli innumerevoli ristoranti dai nomi fuorvianti, infelicitanti, l’Osteria Francescana che non è un’osteria e non è francescana, l’Osteria Gucci che di sicuro è Gucci ma altrettanto di sicuro non è “locale di tono modesto e popolare” (vocabolario Treccani), l’Antica Osteria Cera che serve “ceviche di ricciola e caviale Kaluga Amur” con impiattata modernista, l’Enoteca Pinchiorri che di certo non è una bottiglieria, le tante sedicenti locande prive di camere sebbene la definizione giusta sia “trattoria con alloggio annesso”… Un altro locale che soddisfa il mio bisogno di certezze si chiama Pieri Mortadele, storica osteria (vera osteria) udinese: vi troneggia una mortadella gigante, monumento alla gola e alla coerenza.