preghiera
Un Proust che non sia la "Recherche"
Ringrazio il mio francesista di fiducia, Giuseppe Scaraffia, per avere scritto “Marcel Proust”. Con grande capacità di sintesi (per nulla proustiano, dunque) mi fa venire voglia di leggerlo: non lo scrittore dei sette volumi e delle tremila pagine, ma l’autore di articoli sulle cattedrali e sui pittori
Non avendo tempo da perdere non ho mai letto “Alla ricerca del tempo perduto”. Non ho mai nemmeno desiderato di farlo. Perché a Proust mancava il fren dell’arte: se per raccontare qualcosa hai bisogno di sette volumi e tremila pagine fratello mio hai un grosso problema, e io non posso farci nulla. Lo sfrenato romanzone e il suo logorroico autore sono comunque storia della letteratura, storia della cultura, storia, e ringrazio il mio francesista di fiducia, Giuseppe Scaraffia, per avere scritto “Marcel Proust” (Bompiani). Con grande capacità di sintesi (per nulla proustiano, dunque), col corredo di alcune foto commoventi e di parecchie testimonianze di scrittori coevi (Colette, Cocteau, Gide, Ojetti, Morand...), Scaraffia mi ha fatto conoscere Proust e quasi me lo ha fatto amare. Difficile non provare compassione per chi fu perennemente malato, perennemente freddoloso, perennemente gentile. Grazie a questa biografia ho scoperto un Proust non del tutto omosessuale, decisamente più cattolico che ebreo, e dagli interessi molteplici, non soltanto duchi e duchesse. Adesso vorrei leggerlo: non lo scrittore dei sette volumi e delle tremila pagine, figuriamoci, ma l’autore degli articoli sulle cattedrali e sui pittori (mon semblable, mon frère?).