preghiera
Panettoni ovunque, scimmiesca imitazione. E le altre tradizioni zuccherose?
Io a Natale mangerei panettone se vivessi a Milano, pangiallo se vivessi a Roma, panforte se vivessi a Siena, pandolce se vivessi a Genova, pandoro se vivessi a Verona, panpepato se vivessi a Ferrara o Terni o Anagni. Gli italiani vedano di conservare questo presepe di dolci
Giovani langoniani, di quei discepoli confusi che evidentemente mi merito, mi chiedono cosa portare in tavola per una festa di compleanno. Vade retro. Un cattolico festeggia l’onomastico e non il compleanno, usanza americana, al contempo narcisista e masochista. Un cristiano festeggia il giorno della nascita di Cristo, molto più importante della propria, in una data che fa parte di un tempo ciclico (tempo che rinnova) e non di un tempo lineare (tempo che uccide). E cosa si mangia a Natale? Non ci sono prescrizioni e nemmeno tabù (Cristo ha abolito tutti i divieti alimentari, gran puntello delle false religioni). Ma se è permesso mangiare qualunque cosa, non ogni cosa è opportuno mangiare. In questi giorni vedo che tutti dappertutto comprano panettoni, per scimmiesca imitazione, e anche questo gregarismo mi sembra non cattolico (René Girard mi ha insegnato che le folle sono diaboliche). Io a Natale mangerei panettone se vivessi a Milano, pangiallo se vivessi a Roma, panforte se vivessi a Siena, pandolce se vivessi a Genova, pandoro se vivessi a Verona, panspeziale se vivessi a Bologna, panpepato se vivessi a Ferrara o Terni o Anagni… I cattolici italiani hanno il privilegio di vivere in un presepe di piccole tradizioni zuccherose: vedano non dico di meritarselo (non si meritano niente), ma almeno di conservarlo.