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La serie genderista sulla prima avvocata d'Italia, nel paese delle mamme in estinzione
“La legge di Lidia Poët”, interpretata da Matilda De Angelis: sei puntate devastanti celebrano la professionalità che rende interscambiabili uomo e donna. Meglio ricordare l'attrice canterina e sgambettante in “Felicità puttana”
I conservatori hanno vinto le elezioni, vero. Ma non c’è da gridare al trionfo: i dissipatori continuano a vincere su tutti gli schermi, mica solo a Sanremo. Oggi ad esempio debutta su Netflix una serie potentemente dissipatrice, “La legge di Lidia Poët”, sulla storia della prima avvocata d’Italia. Interpretata da Matilda De Angelis che ricordo deliziosamente femmina, canterina e sgambettante in “Felicità puttana”, capolavoro passatista dei Thegiornalisti, e che adesso sarà costretta a fare la faccia antimaschio di circostanza. Sono sei puntate genderiste dall’impatto devastante, nell’Italia delle mamme in estinzione e delle targhe di avvocato su ogni civico. Che poi, della distruzione della differenza fertile, l’avvocatura è l’avanguardia. Come scrive il filosofo Harvey Mansfield “il professionista rappresenta il modello di riferimento per la neutralità di genere. Ciascuno può essere sostituito da un collega, e una donna può prendere il posto di un uomo. La professionalità consente di creare individui tra loro interscambiabili”. E rendendo le persone interscambiabili ecco che hai dilapidato il loro valore... Se i conservatori hanno vinto le elezioni è perché le elezioni contano poco, perché la politica conta poco: contano di più le 115.000 avvocate (tante sono, oggi, in Italia).