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Cosa manca a Romolo Bugaro per essere riconosciuto come miglior romanziere italiano
Abita a Padova invece che a Roma o a Milano, è iscritto all'albo degli avvocati invece che al culturame. Ma "I ragazzi di sessant'anni" ha un titolo geniale, e descrive in pagine sublimi la vita di chi vive a partita Iva
Il titolo è geniale: “I ragazzi di sessant’anni”. Campeggia sulla copertina di un romanzo Einaudi meravigliosamente scritto da Romolo Bugaro che se abitasse a Roma o a Milano anziché a Padova, se fosse iscritto al culturame anziché all’albo degli avvocati, potrebbe essere riconosciuto come il miglior romanziere italiano vivente. Ma se si occupasse professionalmente di libri non potrebbe occuparsi di realtà, non sarebbe l’osservatore prodigioso che è, non descriverebbe in pagine sublimi ossia splendide e spaventose la vita di chi vive a partita Iva, “un esercito di uomini e donne spiaggiati nel lavoro autonomo o nella libera professione perché non hanno vinto il concorso, non hanno passato il colloquio, non sono stati presi dal Credito Cooperativo né dalla Lidl Italia, uomini e donne che si dibattono disperatamente fra clienti pieni di diffidenza e funzionari dell’Agenzia delle entrate che ignorano le loro mail”. Romanzo neonaturalista dove come nei libri di Zola le persone sono completamente determinate da soldi e salute. Lo si legga per scappare dalla gabbia anagrafica-economica-medica, dal determinismo che uccide ogni speranza: altrimenti davvero non resta che “correre in piazza dei Signori e farsi un paio di Campari a stomaco vuoto e un paio di Marlboro che, grazie ai Campari a stomaco vuoto, danno alla testa come canne”.