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La novecentesca nostalgia degli Ianva: il concerto più estetico di sempre
Il gruppo musicale genovese unisce suoni metal e una ritmica tonante alla tradizione cantautorale italiana, attraverso una formazione originale e affascinante
Se Wagner a Woody Allen faceva venire voglia di occupare la Polonia, le canzoni degli Ianva dovrebbero farmi venire voglia di occupare Fiume. Ma oggi di D’Annunzio mi interessa solo l’estetica, non la politica. Grazie agli Ianva ho assistito al concerto più estetico di sempre: nel Teatro Farnese di Parma, sebbene danneggiato dalle bombe demoplutocratiche uno dei teatri più belli del mondo. Nell’ambito della molto novembrina rassegna “Il Rumore del Lutto”. Il gruppo genovese (Ianva è Genova in latino) ha pubblico fedelissimo e però piccolo, a tutti gli altri dovrei spiegare che musica fanno.
Su Wikipedia c’è scritto “neofolk-dark cabaret”, qualsiasi cosa significhi. Sono certamente molto dark. Renato Mercy Carpaneto ha voce stentorea, Stefania D’Alterio è una Milva nera (a prescindere dal colore dei capelli), la sezione ritmica è tonante, la tromba epica, la musica spesso marziale, una canzone è dedicata a Luisa Ferida, un’altra ha come ritornello “Eia eia alalà”. Novembre è il mese perfetto per una formazione che mette in musica questa lunghissima morte della patria. Ma gli Ianva vanno visti in qualunque mese: qualora, beninteso, ci si voglia concedere una serata di novecentesca nostalgia. Insieme a spettatori dal vestito nero (io ero in tabarro) e dalla carnagione bianca (le donne addirittura diafane, bellissime).