Preghiera
Quello che hanno in comune Rushdie e Vannacci
I due non arretrano mai di fronte alle loro dichiarazioni, tirando sempre dritto. Il primo non rifiuta, anche dopo l'attentato, di criticare Maometto; il secondo non si rimangia ciò che dice
“Chi fosse qui in cerca di pentimento può smettere di leggere anche adesso”. Di Salman Rushdie mi piace quello che mi piace di Roberto Vannacci: il non arretrare di un passo. I due in apparenza c’entrano poco, l’italiano è un militare e dunque naturalmente di destra, l’anglo-indiano è un intellettuale e dunque ordinariamente di sinistra (ossia anti-Trump, no-Brexit, sì-aborto, abbasso i maschi bianchi…). Ma sono soltanto automatismi, gregarismi. Personalmente, lasciate da parte le appartenenze, i due si somigliano. Lo scopro leggendo “Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio” (Mondadori), libro in cui Rushdie racconta il pre-attentato, il post-attentato e l’attentato del maomettano che con molte coltellate gli ha distrutto un occhio e danneggiato altri organi. Mai Rushdie si mostra pentito di aver criticato Maometto, mai rinuncia a mostrare il più assoluto disprezzo verso il suo nemico. Per quanto ferito, tira dritto. Davvero mi ha ricordato Vannacci che risponde sempre “No” ai giornalisti, poveri, che sempre gli chiedono se si è pentito delle sue dichiarazioni disturbanti. Ecco due uomini che non deflettono, che non cedono al quieto vivere. Rushdie, a pagina 217, i conti con l’attentatore li chiude superbamente: “Non mi interessa nulla di te”.