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La povertà del vocabolario politico italiano

Camillo Langone

Un'indefinita coloritura partitica rivela la precarietà del lessico politico nostrano. Il tutto è ridotto a mero tifo da stadio, con una binarietà di fondo che non permette l'evoluzione di un ragionamento critico

“Scrittore di estrema destra”. Così mi definisce Giorgio Dell’Arti nella sua Spremuta di Giornali, prima di elogiare una mia Preghiera. Guarda che non sono io, avrei potuto rispondergli citando una canzone di De Gregori. E invece niente, imperturbabile. Non sarei insorto nemmeno se mi avesse definito “neonazista nell’anima”: a differenza di Giorgia Meloni credo nella libertà di espressione.

Essendo liberale davvero, e non soffrendo di deliri di onnipotenza, non pretendo di imporre agli altri una mia autodefinizione. “Scrittore di estrema destra” è perfino utile, serve a confermare l’estrema povertà del vocabolario politico italiano. La sconfortante povertà del vocabolario politico italiano, per cui non conta nulla che i miei testi fondamentali in materia (“Politica” di Aristotele, “Odi” di Orazio) precedano la nascita della destra di 21 e 18 secoli. La devastante povertà del vocabolario politico italiano, di un lessico binario e grossolano che non permette lo svilupparsi di un ragionamento e riduce ogni questione a tifo. Un vocabolario che non serve a niente, che fa soltanto danni, soltanto da buttare.

  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).