preghiera
Meglio gli scrittori che alzano il gomito di quelli che alzano il ditino
Rileggere "Santi e bevitori" di Lawrence Osborne per dimenticare i nostri autori da Francoforte e da Strega, capaci di moraleggiare più che di scrivere
Lawrence Osborne è un ladro. O almeno lo è stato: “Molto tempo fa ho rubato uno Stilton gigantesco dal Third Avenue Cheese Shop. Rimasto con cinque dollari, senza familiari né amici disposti a farmi l’ennesimo prestito, ho deciso che il metodo migliore per rubare una forma di Stilton da tre chili fosse la sfacciataggine. Entrare, prenderla e uscire. Ha funzionato”. E’ un virgolettato da “Santi e bevitori” (Adelphi), resoconti alcolici dello scrittore-bevitore-viaggiatore inglese. Che non ha mai ammazzato nessuno, sia chiaro, neppure quando ha esagerato (è capitato spesso) col gin tonic, suo cocktail preferito. Ma che comunque ne ha fatte parecchie e nemmeno si dichiara pentito.
È l’opposto dei nostri autori da Francoforte e da Strega, capaci di moraleggiare più che di scrivere, e io preferisco gli scrittori che alzano il gomito a quelli che alzano il ditino.
Alcuni capitoli sono dedicati al bere nei paesi maomettani, cosa difficile ma evidentemente non impossibile: “Ho un debole non solo per gli alcolisti musulmani, ma per il concetto stesso. Un alcolista musulmano mi fa sperare che la razza umana possa salvarsi”. Dai viziosi la salvezza, dunque. Qualcosa di simile lo scrisse Sant’Ambrogio (“L’innocenza mi aveva reso arrogante, la colpa mi ha reso umile”) che però non legge nessuno, forse perchè non beveva gin tonic.