preghiera
L'ode a Chinaglia di Aurelio Picca fa venire i brividi anche a chi non frega niente del calcio
Leggere per credere l’ultima fatica dello scrittore, “La Gloria”. Quella per il campione della Lazio è l’unica poesia di un libro di prose favolose in cui la carne si trasforma in marmo, il sudore nell’oro dell’eterno
Gloria a Picca, eroe della letteratura che scrive di eroi dello sport da pari a pari. Perché non è un giornalista, non è al servizio della notizia, non della volgare informazione né dello sterile intrattenimento: come Pindaro produce epica. Leggere per credere l’ultima sua fatica, “La Gloria” (Baldini+Castoldi), 187 pagine in cui gesto atletico e gesto poetico si fondono e si esaltano a vicenda.
Ci sono Benvenuti, Mennea, Pantani, c’è Novak Djokovic “che, in ginocchio, si segna il petto con la Croce” (una delle dediche), ma soprattutto c’è tanta Lazio. L’ode a Chinaglia fa venire i brividi anche a chi come me del calcio non gliene può fregare di meno: “Giorgio Nostro, rimpianto pure dai romanisti veri / perché sanno che un nemico così barbaro / e potente non l’avranno più. / Noi ti abbiamo amato e ti ameremo. / … / Grazie Giorgio per il sangue versato! / La Gloria è tua”. E’ l’unica poesia di un libro di prose favolose in cui la carne si trasforma in marmo, il sudore nell’oro dell’eterno, in cui perfino un pranzo prepartita (“una insalatiera di fettuccine, due conigli in porchetta, l’abbacchio di Sermoneta”) acquista la dimensione del mito. Gloria ad Aurelio Picca che, se non stai attento, è capace di farti diventare laziale.