preghiera
Liberali che non amavano la libertà
Spaventa perseguitò chi si ribellava alla coscrizione obbligatoria, e Sella inventò la tassa sul macinato. Che sconforto davanti ai monumenti a loro dedicati. Perché per i liberali dell'800 l'importante era restringere le libertà della Chiesa
Non ci sono parole per definire l’amante della libertà. Liberale? Liberista? Libertario? Libertino? Una più difettosa dell’altra. Cammino in via Cernaia, nel rione più sconfortante di Roma ossia Castro Pretorio, e sul retro del Ministero dell’Economia mi imbatto in due bronzei monumenti: Silvio Spaventa e Quintino Sella. Entrambi erano liberali. Spaventa come sottosegretario all’interno perseguitò chi si ribellava alla coscrizione obbligatoria (i cosiddetti briganti), come ministro dei lavori pubblici si impegnò per la nazionalizzazione delle ferrovie. Sella come ministro delle finanze inventò la tassa sul macinato che affamò il popolo e suscitò rivolte represse nel sangue. Due liberali nemici della libertà. Il motivo lo spiegano Atzeni, Bassani e Lottieri nel già citato “A scuola di declino” (Liberilibri): “Per molti liberali italiani dell’Ottocento il tema vero non era quello delle libertà di tutti, i liberali italiani volevano restringere le libertà della Chiesa. Lo Stato onnipotente non appariva un pericolo ai liberali nostrani, perché al contrario la sua forza era ritenuta utile a contrastare l’influenza del clero”. Ecco il peccato originale del liberalismo italiano, ecco perché un amante della libertà non riesce ad autodefinirsi e nel rione più sconfortante di Roma, alla vista di quei monumenti, si sconforta ancor più.