preghiera
Il funerale della polenta
Nelle trattorie di un nord che ha perso dignità alimentare ora ci sono amatriciane e carbonare. Questa è la deculturazione padano-veneta a cui nemmeno la Lega ha posto un argine. La polenta è morta, bisogna prenderne atto
Si organizzi il funerale della polenta. Una volta, nemmeno tantissimi anni fa, la polenta, la polenta gialla, la polenta di farina di granturco, era al Nord talmente diffusa da definirne gli abitanti: polentoni. Delle osterie veronesi dove i miei genitori cenavano coi loro amici ricordo solo una cosa, la polenta abbrustolita. Nei decenni successivi, con gli amici stavolta miei, ricordo grandi polentate invernali in certe case avite della collina reggiana. Poi, improvvisamente, più niente. Ora nelle osterie, nelle trattorie di un Nord che ha perso dignità alimentare vedo amatriciane e carbonare. E io mi dispero. Mille volte ho sentito dire che per la polenta non c’è più tempo ma la verità è un’altra: non c’è più amore. La polenta era un rito e il tempo è parte del rito e se il tempo per il rito non lo trovi mai (come quei sedicenti cattolici che non vanno a messa per la sua lunghezza) significa che hai tradito, che hai apostatato. Questa è la deculturazione padano-veneta a cui nemmeno la Lega ha posto un argine (del resto il fondatore Umberto Bossi era un divoratore di pizze, per dirne la pochezza). La polenta è morta, bisogna prenderne atto. Siccome ai morti vanno resi gli onori funebri si organizzi il funerale della polenta, la si mangi un’ultima volta, in compagnia, le si dia ufficialmente l’ultimo saluto.