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La congiuntura astrale del Green Deal è a forte rischio boomerang

Pier Carlo Padoan

I costi del cambiamento climatico riusciranno a pesare più dei costi della trasformazione? Ecco la sfida della politica verde

Si stanno moltiplicando gli appelli, le analisi, le proposte, per affrontare il rischio ambientale e farne l’opportunità per rilanciare la crescita di una economia globale che sembra tornare in stagnazione. Il World Economic Forum ha presentato a Davos il World Global Risk Report dove risulta che i rischi da disastri ambientali sono al primo posto della valutazione delle maggiori imprese del globo. Qualche giorno prima l’ad di Blackrock, il più grande fondo di investimento globale, ha inviato una lettera ai suoi clienti incoraggiando l’investimento in attività sostenibili e scoraggiando gli investimenti in tecnologie “sporche”. All’inizio di questa settimana a Riyadh, la Conferenza di Avvio del “T20”, il gruppo di supporto alle attività del G20 formato dai think tank dei paesi aderenti al G20, sotto presidenza dell’Arabia Saudita, ha posto come priorità la riflessione su come avviare una economia circolare e uscire gradualmente dal sistema basto sui combustibili fossili. La Commissione Europea ha mosso i primi passi per la implementazione del “Green Deal” con l’avvio del Transition Fund, lo strumento per finanziare le trasformazioni strutturali verso energie più pulite. La sostenibilità ambientale insomma sembra essere entrata per la porta principale nelle agende di politica economica. E’ incoraggiante poi che la priorità ambientale sia considerata tale non solo dalla politica economica dei (di alcuni) paesi ma anche, con vigore, dal mondo delle imprese. Non è un caso che i titoli emessi per il finanziamento di investimenti verdi siano quelli a rendimento più elevato, soprattutto nel lungo periodo. La “green finance” si sta espandendo, sia nel settore privato sia in quello pubblico (Italia compresa). E entrata nella strategia globale delle banche centrali, compresa la BCE. Pare essersi materializzata una “congiuntura astrale” favorevole all’avvio di una trasformazione verso un’economia sostenibile. I policy makers, il settore privato, l’opinione pubblica, spinta sopratutto dai giovani, sembrano essere d’accordo. Il mondo deve avviarsi verso una trasformazione strutturale senza precedenti. Ma è davvero così? Senza essere scettici è bene essere prudenti. Gli ostacoli che un progetto del genere fronteggia sono numerosi e poderosi. Sopratutto quelli che hanno a che fare con comportamenti e incentivi. La politica deve cambiare i comportamenti in due sensi. Deve allungare l’orizzonte temporale perché i benefici in termini di consenso di una economia e di una società maggiormente sostenibili si colgono nel medio e lungo periodo. I costi della trasformazione possono invece manifestarsi immediatamente come nel caso delle riforme strutturali. Ne segue che è forte la tentazione di rinviare le decisioni. La pressione dell’opinione pubblica per affrontare il problema può, d’altra parte, mitigare questa asimmetria. La seconda sfida per la politica riguarda l’atteggiamento nei confronti degli altri paesi. L’economia globale dovrà essere sostenibile nella sua interezza. Il cambiamento climatico non investe solo alcune parti del nostro pianeta. Una economia sostenibile, in altri termini, è un “bene pubblico”, che richiede una strategia condivisa. Se qualche paese non è d’accordo, e continua ad applicare politiche “sporche”, danneggia gli altri paesi, mentre beneficia delle politiche “pulite” degli altri paesi. La combinazione di un orizzonte temporale corto e di una propensione al comportamento opportunistico (“prima noi”) potrebbe avere conseguenze molto deleterie. Non solo. Paesi diversi potrebbero avere preferenze diverse su quali strumenti utilizzare per una crescita sostenibile. Per esempio sulla introduzione di una carbon tax.

 

Il settore privato corre rischi analoghi. Il comportamento oggi molto favorevole a una transizione verde da parte della comunità degli investitori potrebbe limitarsi alle grandi imprese e ai grandi fondi di investimento lasciando fuori la stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese che potrebbero astenersi dall’investire in tecnologie pulite in assenza di adeguati incentivi. E questi potrebbero essere limitati dalla scarsità di risorse pubbliche. Si devono aprire spazi per il ruolo dei mercati finanziari nell’offrire strumenti adeguati. Altrimenti si rischia di alimentare il dualismo tra imprese “sulla frontiera della sostenibilità ” e quelle che ne sono sempre più distanti.

 

L’opinione pubblica, infine, potrebbe cambiare opinione sulla urgenza delle misure da prendere e preoccuparsi più dei costi immediati della trasformazione che dei costi del cambiamento climatico. Soprattutto se incoraggiata da affermazioni come quelle del presidente degli Stati Uniti sugli eccessi dell’allarmismo, a Davos.

 

In conclusione la “congiuntura astrale” favorevole al cammino verso un Green Deal potrebbe trasformarsi nel suo opposto. Ma non è detto che lo scenario scettico debba prevalere. Il Green Deal è uno scenario “win win”. Abbandonarlo sarebbe una imperdonabile sconfitta per la politica e per la società. E sarebbe inutile poi lamentarsi dei danni materiali che il cambiamento climatico porterebbe a tutti noi con intensità crescente. Come sta avvenendo da qualche anno ormai.