Nuovi mercati europei
In attesa di altri strumenti, occorre dominare la crisi con quelli disponibili. Idee urgenti per non restare indietro
II Consiglio europeo del 23 aprile è andato secondo le previsioni. Qualche passo avanti, qualche novità, ma molti aspetti e dettagli da definire. Il passo avanti è in primo luogo politico. L’accordo riguarda il riconoscimento che di fronte alla crisi pandemica occorrono soluzioni nuove e ambiziose. Tale accordo si è materializzato soprattutto con l’idea di un Recovery fund che possa finanziare i paesi membri nell’attività di ricostruzione durante e dopo la crisi. Si tratta di un riconoscimento che la crisi è “simmetrica”, cioè colpisce tutti i paesi membri dell’Ue (e non solo) e che quindi richiede una risposta simmetrica. Nascono subito alcuni interrogativi. Con quali criteri saranno allocate le risorse ai paesi, ai settori, alle imprese? In che modo la ricostruzione sarà collegata all’idea strategica della Commissione lanciata prima della crisi del Covid-19, cioè di una crescita sostenibile, sul piano ambientale, sociale e naturalmente sanitario?
Dal punto di vista finanziario, il sostegno ai paesi dovrà prendere la forma di prestiti (che creano debito) o di grant (concessioni equivalenti a doni)? Come sarà finanziato il fondo? Nei documenti fatti circolare la Commissione sembra suggerire la possibilità che il fondo emetta obbligazioni sulla base di garanzie identificate all’interno del bilancio europeo. Non sarebbero veri e propri Eurobond, ma “bond europei” cioè titoli emessi per finanziare specifici progetti europei.
Una simile ipotesi potrebbe avere il sostegno della Germania, che ha chiaramente detto che gli Eurobond, cioè gli strumenti di mutualizzazione del debito, richiederebbero una modifica dei trattati per la quale non ci sono le condizioni politiche. Vedendone gli aspetti positivi, i bond europei con una “missione” specifica potrebbero finanziare la crescita sostenibile e accelerare il processo verso l’unione fiscale. Ciò in quanto si richiederebbe un rafforzamento del bilancio dell’Unione (a cui pure la Germania direbbe di sì) sia dal lato della spesa sia dal lato delle “risorse proprie”, cioè forme di tassazione europea (una web tax o una tassa ambientale per esempio). D’altra parte emissioni di titoli europei con missioni specifiche sono previste anche per lo strumento Sure contro la disoccupazione ciclica (la “cassa integrazione europea”). Ci sono le premesse per la costruzione di una “capacità fiscale europea” anche con funzioni di stabilizzazione, ipotesi che invece era stata rigettata prima della crisi.
Ma non corriamo troppo. Ora la sfida è quella di mettere in campo una capacità di risposta alla crisi che sia tempestiva ed efficace. Da questo punto di vista occorre realismo sui tempi. Occorre fare presto nella costruzione dei nuovi strumenti ma nel frattempo occorre combattere con gli strumenti disponibili. Si possono immaginare tre stadi nella risposta alla crisi economica. La risposta immediata, che è in atto e che prevede l’utilizzo dei bilanci dei governi senza il vincolo delle regole del Patto di stabilità e con molta elasticità sul piano degli aiuti di stato, oltre al massiccio intervento della Bce, che sta superando molti dei limiti fin qui seguiti, non ultimo la disponibilità a finanziare paesi il cui rating fosse sceso al livello “di spazzatura”. Una mossa importante anche per l’Italia, il cui rating è sotto la lente delle agenzie e dei mercati.
Il secondo livello è un intervento sostenuto dagli strumenti europei già esistenti e che potrebbe partire molto rapidamente. La Banca europea degli investimenti, che potrà finanziare investimenti delle imprese e che dovrebbe mettere in campo fino a 200 miliardi di euro. Il meccanismo Sure, che potrebbe finanziare fino a 100 miliardi. Le risorse che potrebbe mettere in campo il Mes attraverso una facility dedicata al sistema sanitario e sostenuta dalle sue risorse, che oggi ammontano a oltre 400 miliardi. Questo secondo livello dovrebbe partire il più presto possibile ma, naturalmente nel caso del Mes una volta definite le nuove condizioni di accesso, si dovrebbe basare su una richiesta in tal senso da parte dei governi. La terza fase dovrebbe potere contare su un Recovery fund operativo.
Oltre ai tempi di attuazione, le tre fasi dovrebbero essere coerenti tra loro e guidate da una visione unica. Quella tesa a realizzare una nuova strategia di crescita in Europa e tale da rilanciare su basi nuove un mercato interno in grado di sfruttare al meglio le nuove tecnologie, di fare decollare l’Unione del mercato dei capitali anche in termini di “finanza verde” e di completare l’Unione bancaria.