Ebrei

Maurizio Crippa
Storia piuttosto recente, laica e modernizzante della comunità israelitica in città. Un libro.

    Quest’anno Venezia ricorda (celebra non è parola adatta) i 500 anni della creazione del Ghetto. A Milano un ghetto non è mai esistito, semplicemente perché gli ebrei non c’erano. La differenza non è di poco conto, e non fa della storia di Milano una storia più accogliente di quella di Venezia, o di Roma. Soltanto diversa. La vicenda della comunità ebraica a Milano ha una data molto più recente, poco più di due secoli, inizia con l’arrivo di Napoleone, che com’è noto molto amava questa sua capitale satellite cisalpina. “Ebrei a Milano – Due secoli di storia tra integrazione e discriminazioni”, è un interessante studio complessivo scritto da Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica, pubblicato nei mesi scorsi dal Mulino (300 pp., 28 euro). La data di “assenza” della comunità israelitica dalla città è invece molto più antica, e sfiora in profondità qualcosa dell’identità “ambrosiana” di Milano.

     

    Sebbene l’unica testimonianza della presenza di ebrei in epoca romana in città siano alcune lapidi incastonate nelle mura della basilica di Sant’Ambrogio, forse provenienti da uno scomparso cimitero, la “tolleranza” imperiale verso le comunità ebraiche rimase in vigore fino a dopo l’Editto di Milano, iniziò a incrinarsi dopo l’Editto di Tessalonica, 380 d.C., che costituiva il cristianesimo a religione di stato. Il ruolo dell’“atteggiamento non proprio conciliante” (Hamaui) del santo vescovo Ambrogio nei confronti dell’ebraismo ragioni e interpretazioni complesse e discusse, in cui rientrano questioni strettamente religiose e questioni legate alle crescenti responsabilità politiche della chiesa e al rapporto quantomeno dialettico con l’autorità imperiale. Sta di fatto che Milano non divenne terra d’elezione per gli israeliti, e non lo fu per un millennio. Mentre comunità ebraiche si insediavano in tutta la Lombardia, in città la presenza rimase sporadica e mal tollerata. Espulsi dal Comune una prima volta nel Duecento, con un bando che colpiva allo stesso modo gli eretici, lo furono una seconda volta nel 1320. Fu Gian Galeazzo Visconti a concedere ad alcune famiglie tedesche di insediarsi per le loro attività e con un cimitero, ma fuori dalle mura della città. La tolleranza proseguì con alti e bassi con gli Sforza – la signoria ricca e operosa aveva crescente bisogno del loro apporto economico e commerciale – fino alla cacciata definitiva dal Ducato decretata dagli spagnoli nel 1570.

     

    La Iudentoleranzpatent di Giuseppe II non si applicò agli ebrei di Milano, per mancanza degli stessi. Ma quando nel 1796 Napoleone varcò le Alpi e bruciò nell città “liberate” le porte dei ghetti, gli ebrei iniziarono la loro presenza milanese, assieme a quella della loro assimilazione in Italia. Come ricostruisce Hamaui, e l’ampia bibliografia a riguardo, la storia degli ebrei a Milano è strettamente legata ai motivi e alle dinamiche della modernità, in tema di diritti, di laicizzazione della società, di ingresso spesso coronato dal successo nelle nuov dinamiche economiche. Le “Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalle leggi civili agli israeliti” di Carlo Cattaneo e il Nabucco di Verdi alla Scala (1842) sono lo specchio e la porta d’ingresso degli ebrei nel Risorgimento, e successivamente nelle vicende dello stato unitario.

     

    L’inizio del “mezzo secolo d’oro degli ebrei italiani: dall’Indipendenza alla Belle Epoque”, contrassegnata, in città, dalla crescita delle presenze fino a cinquemila persone. La storia economica, soprattutto finanziaria, di Milano deve molto agli Ebrei, a partire dalla Banca Popolare di Milano, fondata da Luigi Luzzatti quando aveva solo 24 anni fino a Joseph Toeplitz che nel 1917 prese la guida della Banca Commerciale Italiana. Non solo di economia si parla, il contributo alla vita culturale e politica della (prevalentemente) laica comunità cittadina (“mai contraddistinta per speciale afflato mistico”, Hamaui) si misura nei nomi di editori come Emilio Treves, personalità come Anna Kuliscioff o Margherita Sarfatti, Prospero Moisè Loira, promotore della Società Umanitaria, sostanzialmente nel solco di un ebraismo riformista e liberale.

     

    Dal ritorno a Milano nel Dopoguerra la comunità è cresciuta fino a circa 7.000 presenze; dopo l’inizio dei conflitti mediorientali e le persecuzioni nei paesi arabi l’arrivo di ebrei da Aleppo, dall’Iran, dalla Libia ha modificato la composizione socio-culturale dell’ebraismo milanese. A modificare il suo tradizionale tasso di “laicità” contribuiscono le comunità chassidiche sorte dai primi anni Sessanta.  La prefazione al volume è di Gad Lerner.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"