Oh Dio, il Dalai Lama!
Fu di mattina presto che Beppe Sala si scapicollò a Linate per salutare, in forma privata, il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso. Pure Letizia Moratti, nel 2007, aveva optato per quella sorta di campo neutro che sono gli aeroporti per salutare Sua Santità. Troppo forti le pressioni del governo e della potente comunità cinese di Milano. Rispetto ai tempi della Moratti, il fastidio diplomatico per il sindaco è maggiore: la grana – pure questa – gliel’ha lasciata in eredità Giuliano Pisapia. L’idea di consegnare le chiavi della città al leader spirituale tibetano in esilio nasce da una delibera dal precedente Consiglio comunale, e nel 2012 Pisapia consegnò al leader religioso il Sigillo di Milano. Pacta sunt servanda, ma ieri mattina, al Teatro Arcimboldi, location prestigiosa ma defilata, a conferire al Grande Oceano di Saggezza la cittadinanza onoraria c’era il presidente del Consiglio comunale, Lamberto Bertolè. Beppe Sala si ricorda quanto fu vicino il rischio che la Cina si ritirasse dall’Expo per la questione della cittadinanza, e ha scelto la via più saggia.
Avrebbe rimandato volentieri la grana, se l’Istituto di studi di buddhismo tibetano Ghe Pel Ling non avesse invitato in città il santo Nobel per elargire “i suoi preziosi insegnamenti”. La prudenza ha pagato relativamente, ieri mattina fuori dagli Arcimbolidi c’era la prevista contestazione della comunità cinese e dall’ambasciata di Pechino a Roma sono giunte critiche secche: “Il fatto che il Consiglio comunale di Milano, le altre istituzioni e persone siano presenti con connivenza alla visita del Dalai Lama a Milano e conferiscano a lui la cittadinanza onoraria, ha ferito gravemente i sentimenti del popolo cinese”. Spendendo per via trasversale la sua autorevolezza, qualche giorno fa il Corriere aveva evidenziato in prima pagina un articolo di Dario Di Vico, elogiativo dell’integrazione e del valore economico della presenza della comunità cinese a Milano. Sulle pagine milanesi di Repubblica era invece filtrata l’ipotesi, non confermata, secondo cui Sala avrebbe potuto chiedere di incontrare il Dalai Lama in Arcivescovado, assieme al cardinale Angelo Scola. Non una grande idea, e non se n’è fatto nulla. Anche perché l’incontro tra l’arcivescovo e il leader spirituale tibetano non è diplomaticamente la cosa più neutrale del mondo.
Ieri mattina alle dieci, il Dalai Lama era nel cortile dell’Episcopio. Il breve incontro con l’arcivescovo e i vertici della chiesa ambrosiana – nel segno della pace e dell’ammonimento post-Expo che “che senza cibo spirituale non c’è futuro per la vita” (Scola) – è stato caloroso, ma non privo di spigolature sotto traccia. “Il Vaticano è molto preoccupato per la sorte di alcuni cristiani in Cina. E io non voglio creare nessun problema”, ha risposto il Dalai Lama ai giornalisti. La domanda riguardava il fatto che Papa Francesco ancora non lo abbia ricevuto. E al recente incontro inter-religioso di Assisi, la segreteria di Stato vaticana ha dimenticato di invitarlo. Si sa che Bergoglio sta cercando di tessere i migliori rapporti politici con Pechino, si sa che nella chiesa (non solo cinese) non tutti apprezzano una linea che sembra sconfessare l’eroismo dei cattolici cinesi perseguitati da decenni dal regime comunista. L’accoglienza di Scola è un fraterno segnale in controtendenza.
A Milano ci sono pure buddisti “eretici” per nulla contenti della visita. Sono gli adepti del Dorje Shugden, il “Fulmine Poderoso”, uno spirito-guardiano del quale “il Dalai Lama ha espressamente sconsigliato il culto”. Una disputa teologica vecchia di 300 anni. Ma secondo l’esperto Antonio Talia, in un interessante articolo su Pagina99.it, la disputa ha da tempo risvolti molto politici. Talia cita anche un’inchiesta di Reuters secondo cui i fedeli del Fulmine Poderoso sarebbero sostenuti da Pechino. Ogni religione ha i suoi patrioti.
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