Natale con Dolly 2
Raccontino natalizio che parte milanese e si fa vieppiù filosofico. In un piccolo bel libro Sellerio
Lui si chiama Felice, nome non-omen, ed è il protagonista di un racconto milanese di Natale, che parte sarcastico, com’è bene che siano, i racconti laici sul Natale. Il racconto parte milanese, coté Milano di professioni editoriali e di insopportabile food culture, diventa greco, spruzzato di ortodosso, diventa viaggio letterario, infine torna a Milano. Il sarcasmo sono i grattacieli di Garibaldi coperti “da spelacchiati alberelli, cespugli sempreverdi”, che sarebbe bello “addobbare con lucine e palline colorate”. Il sarcasmo è il lavoro intellettuale, l’amministratore delegato che “come spesso ormai accade”, è anche il direttore editoriale, “la pericolosa commistione di una scarsa cultura e di un ego smisurato”. E’ dover arrotondare il magro stipendio da lavoro culturale con siti che si chiamano “Luppolo felice”, scrivendo raccontini dal titolo “‘Amo’, la parola più pericolosa per il pesce e per l’uomo. Il sarcasmo è una cena aziendale della vigilia, “tanto siamo tutti divorziati, o vedovi, alle mamme e ai figli potrete eventualmente dedicare il pranzo di Natale”. Felice porta gli occhiali scuri anche quando diluvia, è lui il prescelto per trovare un ristorante nel pienone natalizio delle cene aziendali – a Milano è Natale a partire da Sant’Ambrogio, si sa, ogni sera è una comitiva gastronomica obbligatoria.
Poi Felice si infila in un ristorantino di via Torino. l’insegna è in greco: “METAMORFOSE”. Ristorante greco. E’ la porta in una diversa dimensione, “una vecchia fumosa osteria affollata di vecchi avventori”. Spazio e tempo diversi. “in che posto mi trovo”. “A Metamorfosi”. “Il ristorante?”. “No, questo locale si chiama ‘O thiasos’ (La recita). Metamorfosi è il paese”. “E dove sta?”. “Nel Peloponneso”. Siamo a metà strada tra un’isola ritrovata, un’Itaca impossibile, tra la Grecia di oggi e quella antica, o un mare che lambisce l’archetipo molto italiano della “Armata s’agapò”, la nostra guerra di Grecia. E siamo un passo oltre nella letteratura, “Ho capito, grazie anche a James Joyce, che la più grande avventura della nostra vita è l’assenza di avventure. L’Odissea di Omero si è trasferita dentro di noi”.
Ma su quell’isola accudiscono, per soldi inglesi, anche una strana pecora tecnologica. E' Dolly 2, quella che avevano clonato all’Istituto Roslin di Edimburgo. Dove però “erano preoccupati dal clamore di quell’evento che sembrava sostituirsi a Dio”, ma, per sicurezza, avavano pensato pensato di clonarne subito un’altra, ma di nasconderla lontano dagli occhi del mondo, in una mangiatoia fuori dal mondo. Ed è qui che il racconto di Francesco M. Cataluccio, “La metamorfosi del Natale”, si fa giocosamente filosofico. Con quella pecora della vigilia, che forse è la negazione della necessità del Natale, della fede e di Dio. Oppure la sua nemesi.
“Storie di Natale” è un libro di racconti appena edito dall’editore Sellerio. Ci sono gli scritti, belli e disuguali, di Giosuè Calaciura, Andrea Camilleri, Francesco M. Cataluccio, Alicia Giménez-Bartlett, Antonio Manzini, Francesco Recami, Fabio Stassi. Altrettanti da leggere. Qui abbiamo scelto Cataluccio, un po’ perché l’idea di Dolly è sottile, un po’ per fatto personale. Ma è Natale.
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