Navigli referendari
Il 2017 sarà anche l’anno della grande manfrina politica sulla riapertura. Ma la logica c’è
E’ da sempre una delle grandi varianti della conversazione meneghina, è un desiderio che scorre sotterraneo e trasversale, è un classico da campagna elettorale, è un diversivo per i programmi politici quando c’è da diluire le tensioni. La riapertura del Navigli è per Milano un classico del libero pensiero e dell’identità. Volatile come la nebbia. Beppe Sala – sulla scia dei sogni acquatici dell’Expo di Letizia Moratti – ne aveva fatto uno dei pochi spunti immaginifici della campagna elettorale. Ma da sindaco ha rilanciato: è un progetto “che va da qui ai prossimi quindici anni, ma entro il 2017, vorrei consultare i milanesi sul tema”. Il cavallo di battaglia del referendum consultivo ambientale appartiene da tempo alla sinistra meneghina, metodo Pisapia. Sala l’ha fatto suo, rilanciarlo entro il 2017 è una concessione, più simbolica che altro, agli alleati di governo. Ma i grandi sponsor del referendum sulla riapertura dei Navigli e per ridare ai milanesi le loro vie navigabili – assieme a una re-visione complessiva dell’uso del territorio – spetta ai radicali. Che coniugano il sogno Navigli – un pallino di Marco Cappato fin dai tempi della giunta Pisapia – con la loro storica preferenza per il modello partecipativo referendario: “Il sogno sarebbe di farlo a un anno dalle comunali, la prossima estate, al più tardi in autunno”, ha rilanciato di recente Lorenzo Lipperini, assessore in quota Lista Cappato con delega alla Partecipazione.
Nel frattempo in Regione è l’altra parte politica, la Lega, ad aver ottenuto l’approvazione in Aula di un documento che impegna la giunta di Bobo Maroni a stanziare una parte delle risorse del Patto per la Lombardia appena siglato con il governo per interventi che permetteranno la completa riapertura del sistema dei Navigli lombardo. Secondo il vicepresidente leghista del Consiglio regionale, Fabrizio Cecchetti “riaprire i Navigli è una sfida per Milano e per tutta la Lombardia. La Milano del futuro deve riorganizzarsi al meglio e far emergere di più tutta la sua bellezza riscoprendo fino in fondo la sua anima. Ciò significherebbe più turismo, più lavoro e l’apertura di nuovi spazi commerciali e aggregativi nel centro della città”.
Milano è una città di vie d’acqua, anche se l’interesse per la loro riapertura, nell’anno Domini 2017, ha più il senso di una manfrina d’alleggerimento politico che di un progetto solido. Ma l’interesse ha basi economiche e sistemiche. Esiste uno studio di fattibilità del Politecnico (giunta Pisapia). Un altro studio, che incrocia i lavori per la M4, riguarda la fattibilità di un collegamento idraulico sotterraneo per unire la Darsena ai canali delle campagne del sud Milano. Mentre un ulteriore busillis riguarda come ri-collegare la Martesana (nordest) e la Darsena attraverso l’antico tratto della cerchia. Sette chilometri urbani di percorso, 43 ponti di costruire. Nel mezzo, l’intera risistemazione e messa in sicurezza idrica della città. Un progetto ambizioso. Destinato a crescere, al riparo del paravento politico delle chiacchiere e dei referendum.
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