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Aiuto, i No Brera!

Maurizio Crippa

L’incredibile e “castale” storia dei prof che non vogliono la nuova Accademia. E fanno perdere 30 milioni a Milano

Dopo il successo delle palme e dei banani in piazza Duomo, Milano potrebbe provarci con gli ulivi: la nuova barriera contro il progresso. I chiarissimi professori dell’Accademia di Belle Arti di Brera, assieme ai loro non proprio informatissimi studenti, potrebbero chiedere a Michele Emiliano di mandare al nord qualche innocente pianticella, di quelle attualmente in uso per fermare il Tap nel Salento. Allo scopo di piantarle in mezzo al bel Cortile Napoleonico, e renderlo così inespugnabile alle soldataglie ministeriali che vogliono cambiare (migliorare) il secolare status quo. La vicenda data da quasi un decennio ed è a grandi linee nota. Si tratta del progetto di trasferire una parte – si badi bene, una parte – dell’Accademia in una nuova sede più ampia, frutto della ristrutturazione della Caserma XXIV Maggio di via Vincenzo Monti (non proprio degradata periferia), che il ministero della Difesa, tramite protocollo, cederebbe al Miur. Per finanziare l’operazione, il Cipe ha a disposizione 30 milioni di euro. Altri 10 milioni sono stanziati per permettere la nuova destinazione alla Pinacoteca di Palazzo Citterio, sempre demanio, dove troverebbero posto le collezioni d’arte moderna e contemporanea, realizzando il progetto elaborato quarant’anni fa dal geniale sovrintendente Franco Russoli, il primo a pensare a una “Grande Brera”.

 

Ma qualche giorno fa il Consiglio accademico dell’ateneo, in pratica la rappresentanza dei docenti che ne ha facoltà (ma chiedetevi perché debba averla, su questi argomenti) ha bocciato il protocollo d’intesa che darebbe il via all’operazione e che invece la presidente dell’Accademia delle Belle Arti, Livia Pomodoro, da poco nominata, ma aveva annunciato di essere pronta a firmare. Niente approvazione del Consiglio accademico, niente firma, niente 30 milioni, niente nuova sede per l’ateneo delle arti. Gli studenti si nono fatti fotografare con i soliti cartelli “giù le mani a Brera”, come li stessero deportando in Congo. Probabilmente senza manco sapere che si sta parlando di una sede che resterà, e dell’ampliamento in una struttura nuova: quattromila studenti e 400 professori hanno bisogno di spazi adeguati. Ma so’ ragazzi, come si dice. Il dettaglio su cui invece i docenti hanno detto no è la cessione di tre aule (tre) alla Pinacoteca, richiesta dal governo. Servono per motivi tecnico-logistici, come la realizzazione di un’ascensore per disabili, obbligatorio per legge. Ma niet. Dietro alla non volontà di spostare parte degli insegnamenti in via Monti, o altrove, c’è in realtà, forse non maggioritaria ma influente, la volontà di rimanere in una location “comoda” e centralissima. Senza spostarsi a qualche fermata di metropolitana da piazza Duomo. La difesa di un privilegio castale, a chiamarla col suo nome: analoghi mugugni accademici stanno accompagnando il progetto del trasferimento della Statale nel futuro campus scientifico dell’area Expo (è dall’altra parte della città rispetto a Città Studi… ma ci arriva la Rossa e anche la Tav).

A travestire tutto questo da difesa della cultura, ci sono poi pseudo-polemiche che vanno avanti da anni (il primo protocollo, scaduto, era del 2008) che denunciano la presunta volontà di commercializzazione della cultura, che lo “sfratto” dimostrerebbe.

 

E qui si torna alla “Grande Brera”. Nome che genera, spesso, equivoci. Ad esempio, la caffetteria e il nuovo bookshop (orrore commerciale, per alcuni) si faranno lo stesso: in spazi che sono della Pinacoteca. L’ascensore per i disabili, pure: è un obbligo. I fondi per Palazzo Citterio ci sono lo stesso. Dove sarebbe, il sopruso mercatista che ministero e Pinacoteca starebbero orchestrando contro l’Accademia? Sono follie strumentali. Ma ha dovuto sbatterci contro persino Livia Pomodoro. Ex presidente del Tribunale di Milano, donna colta, famiglia d’artisti, stimata e influentissima in città. Ieri, ha dovuto spiegare le sue ragioni al Corriere della Sera, per cercare di ricucire lo strappo, ma soprattutto per sottolineare, con le cautele diplomatiche del ruolo, che non bisogna “perdere il futuro”. “Mi chiedo: qual è la dignità di professori e altri soggetti che non riconoscono la necessità di avere un luogo adeguato, e negano tre aule anche per realizzare un ascensore per disabili?”. Il direttore della Pinacoteca di Brera, James Bradburne, saggiamente tace. Ha detto più volte che l’Accademia senza studenti sarebbe un assurdo, quindi nessuna cacciata, anzi. Ma sa benissimo che un museo nazionale senza bookshop e accesso ai disabili è impossibile. Tanto varrebbe piantarci gli ulivi.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"